Arte come ricchezza della coscienza e “spazio” di relazioni Il clima artistico di una terra è il riflesso della sua storia, racconta l’uomo che abita e modella i suoi luoghi. Nelle Marche lo spirito di una grandiosa tradizione pervade impegnate comunità artistiche influenzando spesso apertamente formazioni e percorsi, seppure nell’interpretazione di una consapevole contemporaneità. E’ il caso dell’artista fanese Giovanni Bellantuono e del suo gruppo “Visiva”, che questa mostra presenta, vitali e feconde testimonianze di quella capacità di confronto dei movimenti locali con le tracce di civiltà del proprio territorio. Profonda, elegante, l’arte di Bellantuono disvela le sue radici, perfetto equilibrio tra rigorose geometrie e respiro serenamente solenne delle forme, ed afferma i concetti di una ricerca che, se fu propria dell’Umanesimo che ebbe culla nelle corti di Urbino e dei Malatesta, si enuncia come ineludibile “engagement” dell’artista: la tensione dell’uomo a trovare dentro di sè la rotta nel tempo “disordinato”; il fermo timone tra la supremazia sempre incombente della civiltà del Sapere e la verità della Natura come misura del mondo. Istanze palpitanti sotto l’estatica fissità delle composizioni a denotare la missione estetica morale di un lavoro che non è studio solitario ma riflessione che cerca, ed incontra, altrettanto vive elaborazioni. Bellantuono anima, infatti, “Visiva” ed il nuovo contesto di artisti allarga la scena di un segno peculiare: il tono fatto di misura e rigore, l’impegno di indagine sulla verità umana, il possesso sapiente (e difeso) del mezzo artistico che sorregge il gesto compositivo. Amore per lo sguardo nutrito dall’appartenenza ad una storia e dal pensiero. Il piacere dell’arte è un’esperienza incompleta se disgiunta da un approccio disponibile e aperto alle ragioni della creazione artistica. Per questo il Laboratorio d’arte MAW, spazio per la cultura e l’arte contemporanea, pone alla base dei suoi programmi l’esplorazione di proposte e di linguaggi, di pratiche e di idee, convinto che l’arte possa essere una straordinaria ricchezza della nostra coscienza se davvero diventa “contatto”, “luogo” in cui sperimentare incontri e relazioni. Inaugurando questo evento, primo di una serie di appuntamenti con ricerche appartenenti a geografie diverse, auguriamo ai visitatori l’emozione di una scoperta che non è solo quella di un’inedito universo artistico ma altresì di un discorso che, dai propri confini, parla dell’uomo e valori che gli appartengono.
Italia Gualtieri per MAW |
Progressione dei confini della lotta. La pelle morbida del segno è un dono d’amore del pensiero affilato che struttura gesti di liberazione. Intime connessioni è un progetto estetico e morale che gioca con i sensi dei visitatori introducendo un’istanza forte sulla percezione della realtà: della coscienza e del quotidiano, sommersa, dissolta, mutata dal digitale.
E’ il vagare incessante di ognuno nelle liquide distese dei social; è la disgregazione potente e seduttiva della sfera segreta nell’era nuova di Facebook il centro dell’opera di Colella e di questa mostra, sintesi inedita ed emozionale di un’intensa ricerca che nel trionfo apparentemente senza vinti della società-confessionale professa la ri-presa di posizione del sè proclamando l’intimità come salvezza, territorio riscosso della propria sovranità indivisa. Con una nuova frontiera posta alla poetica dello spazio privato: il recupero dell’autonomia dell’artista dentro/contro il sistema dell’arte. Così, sulle pareti della galleria, scivola empatica e perturbante la segretezza dipinta del ciclo Valentina’s room mentre il buio di una sala oscurata accoglie l’epifania di una tenda canadese dal cui varco l’artista, impersonato da una micro cam, guarda il muoversi delle figure del sistema (il pubblico, il critico, il gallerista…) che scrutano e si proiettano tra 305 ‘anime’, sottilissime silhouettes che si muovono oscillando al passare degli spettatori in mezzo a fasci di luce pink: Soul under 35, una preghiera laica per le esiliate creature dei mondi digitali; una riflessione giocosa sull’ansia dei giovani artisti, molti concorsi e spazi d’arte danno accesso soltanto ai giovani che non hanno compiuto i 35 anni. E, alla fine del percorso, uno scatto incantato della stessa “canadese” che dall’assedio silenzioso trasferisce il suo segno nella quiete di un bosco, Nature connected (my future homes): l’interno acceso, le coperte morbide, il portatile accanto, ad indicare intime connessioni allo sguardo e al pensiero. L’essenza intangibile è schierata sul limite proibito… Italia Gualtieri |
Fedele al suo progetto, il MAW prosegue l’impegno per una proposta del fatto d’arte che sia occasione di vero contatto tra il pubblico e l’autore. La mostra personale di Peppe Barrasso “Classici nei vicoli” è un debutto d’artista generato in questo percorso e dall’altra idea fondante del nostro Laboratorio di essere un luogo dove artisti, appassionati, intellettuali e semplici fruitori possono incrociare domande e proposte, all’insegna di una concezione del fenomeno artistico come generatore di una conoscenza concreta e coinvolgente, strumento di espansione di coscienza e di umanità. L’arte ci è necessaria per questo. Ecco allora che la efficace e sorridente rilettura di celebrati capolavori, com’è quella di Barrasso, è l’occasione per ricevere un impulso artistico inatteso ma soprattutto per “inciampare” sull’idea che lo ha mosso, perché tutto parla, dell’Arte, e chiede consapevolezza: le forme, i colori, gli archetipi che ci vengono trasmessi. Ancor più quelli rotti.
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Alchimia delle forme e senso del pensiero avvolgono il mistero che si può notare nelle sculture di Mihai Jitaru.Questa mostra dell’artista rumeno, il cui pluriennale e “segreto” percorso si è aperto da poco all’impegno espositivo, rivela la suggestione di una ricerca che è intima fusione di estro creativo e rigore della coscienza, professati e perseguiti nella quotidiana vicenda esistenziale ma soprattutto dichiarati nel legno, materia ed espressione più di ogni altra amata per dolci memorie familiari.Una narrazione fantastica e morale insieme, da cui scaturisce un’affascinante sollecitazione complessiva. Sono il dolore dell’uomo e i mali del mondo, è un appello al rifiuto delle tensioni di cui siamo prigionieri quello che prende forma nelle creature di Jitaru e che prorompe nell’attimo dell’incontro, in un’azione nello stesso tempo estetica e “pedagogica”. Composizioni dolcemente modellate dalla durezza del legno chiamano gli occhi a perdersi nel loro enigma e tuttavia disegnano limpide tesi (Fusione, Tre in uno); piccole figure e costruzioni, inquieti giocattoli estratti dal surreale, “divertono” lo sguardo ma impongono pause (Resa dei conti, Vittoria capovolta) o altri giochi al pensiero (Separazione dei poteri, Falsa vittoria).E ogni essenza dà voce con lo stesso tono al racconto delle mani e viene da lontano, dal paese delle radici, quando narra le storie e le passioni più forti (Famiglia). Lieve e forte, morbido e deciso, il segno di Mihai Jitaruè creazione di volumi e di spazi dove si addensano interrogativi, denunce, esortazioni, preghiere. Aperte o chiuse, nella giocosa ingenuità degli assemblaggi come nella felice interpretazione del tuttotondo e del bassorilievo, le sue forme sono rivelatrici non soltanto del bisogno catartico e creativo dell’artista ma anche di tutte le sue (e le nostre) pulsioni esistenziali. E’ la vita che le alimenta e della vita esse sono il riflesso: della conoscenza e dell’amore per la natura umana, con i suoi sentimenti, le sue debolezze, le sue aspirazioni. Un’arte non individualistica, quella di Mihai Jitaru, ma pensata come portatrice di messaggi. Che vuole suscitare emozioni ma spingere anche a riflettere.
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l tartufo nero è uno dei gioielli più preziosi dell’Abruzzo. Evasio, cacciatore di tartufi di lunga data, ne conosce tutti i segreti. Tutti i giorni, in funzione delle stagioni, della posizione della luna e di altri parametri dettati dall’esperienza, sceglie con precisione le “cave” che va a visitare. In compagnia di Lilla e Nerina, percorrendo i sentieri nascosti della montagna, per addentrarsi nei sottoboschi ombreggiati…
Il racconto fotografico di Alexandre Vanhoorde ci conduce alla scoperta di un mestiere “invisibile” che vede l’Abruzzo tra le sue terre più tipiche. Partecipe e discreto, parla attraverso un bianco e nero perfetto, dai contrasti nitidi, in cui la composizione si costruisce come frammento del reale per narrare una pratica che ha la semplicità eppure il genio della natura. Questo fotoreportage è il primo di una serie che Alexandre Vanhoorde dedica ai mestieri abruzzesi. L’obiettivo è stato quello di una totale immersione nel mondo del protagonista: per oltre tre mesi, il fotografo ha seguito Evasio nelle sue uscite per conoscerne i ritmi, le scelte, la personalità e soprattutto la relazione con i cani, chiave di volta di tutto il sistema della “caccia del tartufo”. Italia Gualtieri |
Le stesure dense e materiche di Hassan Yazdani (in arte Hassanski) sono gli elementi di un piacere del gesto che la sua pittura dichiara. Piacere sottile di mescolanze e di fusioni, di olio e di pigmenti, che fa rivivere il tempo del gioco e mette al centro il colore, visto dall’artista come realtà della forma e suo principio, ragione ultima della sua arte. Irresistibilmente, l’amalgama cattura l’occhio e il pennello e suggerisce visioni; l’impasto costruisce sostanza agli oggetti della rappresentazione, compiutamente χρῶμα/colore, limite e “pelle” dei corpi, ètimo recondito della parola fatto proprio dal pittore davanti alla tela. E così i verdi e i rosa, tutti gli azzurri e i toni delle terre diventano volumi e “geometrie” che di-segnano lo spazio, inventano immagini. Pietre, monti, cose, figure. Dall’arsenale della mente e dell’inconscio o dal ricordo degli altipiani dell’Iran, terra delle origini sempre nel cuore e nella memoria creativa dell’artista. L’albero è ininterrotta presenza, racconto di vissuti e di radici, di paesaggi di una nuova storia; ma anche richiamo di valori sacri, ripetuto a noi che non sappiamo ascoltare. Con espressioni sempre libere e pervase dal ritmo delle emozioni; nel gioco costante della luce e delle linee, all’origine delle sue particolari atmosfere, Hassanski indaga e rivela il perpetuo dinamismo della materia del mondo e del profondo, liberando il desiderio di vita che nascondiamo. Italia Gualtieri |
E’ una profonda, ripetuta interrogazione sul tempo la pittura di Pierluigi Abbondanza. La ricerca di un ritmo altro e di un’altra coscienza che l’artista esperisce dentro di sè e nell’immagine, che riflette e irrompe nello sguardo/ritmo dello spettatore. Sotto l’urto incessante del Consumo il tempo si dissolve nel dominio di un continuo presente che bandisce la memoria: abbiamo bisogno di ricomporre le nostre narrazioni. Questo il discorso e la rotta sostenuti, qui, da un istinto del mezzo espressivo che è piacere di immaginazione e cultura; da una pittura che non è gesto ma è processo, distillazione di pensiero e colore nel pennello che addensa e sosta, stratifica meditazioni e spessori, silenziosamente polemico nei confronti del tempo rapido dei nuovi mezzi di produzione dell’icona. Ed ecco allora istanti che ci guardano dal passato, momenti amati della storia dell’arte, riverberi inesausti di immagini “ritrovate” farsi terreno di una sperimentazione visiva sentita innanzitutto come recupero della coscienza: le immagini incantatrici di lontane reveries trovano un varco e infiltrano i nostri schermi quotidiani (She dreams, Half woman); le figure nelle quali rimanemmo assorti si ripetono oggi per nuove derive (Ufficio immaginario); volti “pungono” dall’immenso album della Rete e replicano il loro enigma (Maternità, Giovane donna in posa) a liberare nuova percezione. Tessuta sul prelievo sapiente, sul mistero dell’attimo, sui giochi d’illusione delle stesure e della tela, la pittura di Abbondanza sovverte i nostri ritmi, altrove perturbante all’incrocio tra reminiscenza e vissuti di ora, che il tempo cancella ma che il tempo è capace di riconsegnare perché riconferma al ricordo la funzione necessaria di conoscenza. Il suo percorso, condotto oggi su una figurazione costruita sulla dialettica volto/memoria, è un atto di fiducia nella possibilità di un nuovo umanesimo nella creazione e nella fruizione dell’immagine. Italia Gualtieri |
Richiamata dal desiderio della memoria, l’arte di Mario Fabiilli si mostra a nuovi sguardi e torna a meravigliare. Se la migliore scultura odierna guarda dentro le folle e le quotidiane follìe, il raccontodi questo artista, formatosi alla scuola del sentimento della natura e di emozioni ancestrali, allenta ed invita alla meditazione su un discorso di ieri che vuole parlare anche all’oggi. “Fermare” ordinarie e solenni epifanie che lambiscono i nostri occhi e spesso scivolano nel dimenticatoio; calamitare la vita nei volumi realistici o simbolici della materia per trattenere il fluire veloce di storie e di visioni: il frutto raggiante di un tralcio di vite, la corolla fragrante di un fiore, il corpo che ha regalato un sussulto, gli oggetti umili e perenni della terra che ci ama… Forte e dolce come le verità che vi ha voluto provare, il ferro è stato la prima passione di Fabiilli ed è restato l’amore della sua vita. Amore trasmesso con le manie con gli occhi: con l’abilità rara di trattare senza pentimenti, né facili aiuti della modernità, la sua massa possente; con la sensibilità di un acuto spirito di osservazione che ha permesso a questo artista di realizzare lavori squisiti in una varietà di esiti sempre felici.
Questo omaggio che si tributa ad autentico maestro è quello verso un’arte emozionante e gentile che si dichiara senza enfasi al nostro presente. Italia Gualtieri |
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© MAW 2015
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